lunedì 27 maggio 2013

«Ma che ti laurei a fare in Filologia?»

Devo fare una confessione: anch’io ho avuto un momento di bimbominkiaggine. Per i pochi che non sapessero cos’è un bimbominkia (compreso Word che continua a segnarmelo in rosso), è sufficiente tenere presente che:

  •  Il bimbominkia ha una personalità talmente forte che se si mette allo specchio e tenta di guardarsi negli occhi, dopo un po’ lui abbassa lo sguardo, mentre il riflesso continua a fissarlo con aria di sfida
  •  È amante di qualsiasi boiata fantasy uscita negli ultimi quindici anni
  • Lui/lei compra rigorosamente cd di cantanti prodotti in serie, genuini come il pane che fa Banderas nel Mulino Bianco
  • Se si chiude in bagno per ore non vi allarmate: non si sta facendo le pere come sperate, ma un set completo di foto con la reflex da 800 euro che gli avete regalato per il suo compleanno
  • La sua religione è internet. E Zuckerberg è il suo profeta
Quindi se per casa, di tanto in tanto, incontrate un esemplare antropomorfo che si trascina biascicando incomprensibili frasi in aramaico, adesso sapete a che razza appartiene.

Comunque, dicevo che anch’io ho avuto un momento di bimbominkiaggine acuta, che si è manifestata tra la fine del 2010 e la metà del 2011, vale a dire quando bastava accendere un qualsiasi elettrodomestico (lavatrice compresa) che ti bombardavano di notizie sulla fine del mondo e il calendario Maya. Inizialmente non ci fai caso, ti sembra che tutto vada bene, ma il baratro è subdolo, te ne accorgi solo il giorno in cui, durante una discussione, dici: «…l’ha detto anche Roberto Giacobbo», con un’espressione seria che costringe i tuoi amici a cancellarti dalla rubrica e cambiare numero di telefono.
A dire la verità tu non hai mai creduto a ste cose, ma il martellamento mediatico è talmente insistente che a un certo punto arrivi a chiederti: «E se i Maya fossero stati veramente dei profeti?», tralasciando completamente il piccolo particolare che nemmeno si erano sognati di profetizzare la loro totale estinzione a causa di quella brava gente che proveniva dalla Spagna per “civilizzarli”.


Tuttavia, dopo un lungo percorso riabilitativo, a base di libri di Milan Kundera e trasmissioni di Michele Mirabella, sono riuscito a uscire dal tunnel. Lo so che il trend attuale vorrebbe che scrivessi un libro dal titolo tipo: E di nuovo la luce - La mia straordinaria esperienza con i Maya, tuttavia per questioni di decoro mi sono astenuto, preferendo fare una profonda riflessione: l’apocalisse Maya è l’unico modo per spiegare ad amici e parenti che cacchio è la filologia.

Il laureato in filologia cova una profonda e rancorosa invidia nei confronti dei laureati in: farmacia, medicina, archeologia, scienze della formazione, agraria, podologia, scienze dell’allevamento, lingue e culture dell’Eurasia…
Tutto ciò non perché questi trovino più facilmente un lavoro, ma solamente perché non sono soggetti a frequenti equivoci con amici e parenti ogni volta che si trovano a dover dire cosa studino.
Per farvi capire meglio vi propongo alcuni esempi:


Nonno: «Allora cos’è che studi?»
Tu: «Filologia»
N: «Ah, bella filosofia»


Zia: «Allora cos’è che studi?»
Tu: «Filologia»
Z: «Ah, bella filatelia»


Il Tuo Salumiere: «Allora cos’è che studi?»
Tu: «Filologia»
ITS: «Ah, bella teologia»


Genitori: «Allora cos’è che studi?»
Tu: «Filologia»
G: «Ma poi che sbocchi ha la semiotica


Preciso che tutti gli esempi riportati sono reali (specialmente l’ultimo).

Dunque qual è ruolo del filologo moderno? Chiudersi in biblioteca alla ricerca di manoscritti perduti come un novello Angelo Mai? Risolvere misteriose connessioni letterario-religio-masso-illuminaristiche come Robert Langdon? Sperare di ricevere un giorno il sussidio di disoccupazione?
Niente di tutto questo: il compito più difficile dell’aspirante filologo è riuscire far capire al mondo a che cacchio serve la sua laurea (oltre a stare da Dio appesa alla parete della stanzetta, ovviamente).
Il vero problema è che quando all’università ti trovi per la prima volta faccia a faccia con la filologia, nemmeno la professoressa che la insegna è capace di spiegare a parole di cosa si tratti precisamente, per cui parte con una caterva di esempi che solitamente non fanno altro che confondere ancora più le idee.
Ma vediamo come i Maya possono esserci di aiuto.


Mettiamo che il 21 dicembre 2012 davvero fosse successo qualcosa di apocalittico: caduta di un asteroide, inversione dei poli magnetici terrestri, tempesta solare, scoppio di una supernova, esplosione di Giuliano Ferrara, l’ultima puntata di Beautiful, la Eminflex che smette di regalare la «Mountain Bike con cambio Shimano alle prime dieci telefonate»…
Ecco, immaginiamo che in questo scenario di indicibile orrore vengano distrutti tutti i supporti musicali magnetici e digitali: Niente CD. Niente DVD. Niente MP3. Niente Musicassetta. Solo Vinili. Quelli di Nilla Pizzi.
Ora immaginiamo il nostro pro-pro-pro-pronipote nel 2113 che suona la batteria in un pub, il Chalum’s (ho avuto un’infanzia segnata da Guerre Stellari), a un certo punto si avvicina a una tipa:


«Sai, - occhi a fessurina - che dici se ti dedico Grazie dei fiori

Compromettendo in tal modo la sopravvivenza del nostro patrimonio genetico.

Il filologo serve proprio a quello (non a riprodursi, ovviamente), cioè a fare in modo che nulla, o quasi, del passato vada perduto.
Dovete sapere che anticamente il mercato editoriale era un pochino di nicchia, vuoi perché c’era un tasso di analfabetismo che nemmeno a un raduno di Casa Pound; vuoi perché, con somma gioia della Siae, non esistevano ancora le fotocopiatrici e i libri venivano scritti e pubblicati rigorosamente a mano.
Naturalmente l’autore non poteva mettersi a copiare personalmente le sue opere, quindi ci si affidava a copisti, in particolar modo nel Medioevo questi erano monaci che trascrivevano pazientemente i rotoli di autori contemporanei, ma soprattutto antichi. Ora, se abitate in un paesino conoscerete sicuramente quello che io chiamo l’Effetto Studio Aperto, vale a dire quell’effetto per cui una notizia insignificante subisce modifiche tali da diventare argomento di discussione o guadagnarsi l’apertura nel suddetto notiziario. Questo effetto si può facilmente spiegare con questo schema:




Bene, lo stesso succedeva con i copisti. In pratica sti poveri monaci che dalla mattina alla sera non facevano altro che copiare manoscritti, ogni tanto potevano sbagliare: sia perché non conoscevano il latino e quindi copiavano le lettere così come le vedevano (la competenza in Italia è sempre stata di fondamentale importanza); sia perché dopo dodici ore a lume di candela voglio vedere te se non sbagliavi; sia perché magari, per ragioni etiche o religiose, decidevano di punto in bianco di cambiare l’opera. Fai un errore oggi, fai un errore domani, cambia di qua, cambia di là, ed ecco che il testo iniziale viene ampiamente modificato.

Ed è a questo punto che entra in gioco il filologo, che, con il suo “immenso bagaglio di conoscenza” (è la nostra scusa quando dobbiamo confessare che non troviamo lavoro), si mette lì con una santa pazienza a confrontare i vari manoscritti di una stessa opera per cercarne gli errori comuni, in modo da poter risalire, per esempio, ad una versione del Liber di Catullo quanto più vicina all’originale (in realtà la faccenda è un ciccinino più complicata, ma per me basta che non crediate che il filologo sia quello che colleziona francobolli).

Oltre al monaco amanuense scazzato, il più grande nemico del filologo è il gusto del tempo. Per farvi capire meglio vi pongo una domanda: Se voi foste un copista sottopagato che impiega dai tre ai sei mesi per una trascrizione, quali libri tramandereste: l’Amleto o Le barzellette di Totti?
Quello che voglio dire è che ovviamente i copisti, sia medievali che antichi, non potevano copiare tutto lo scibile, per cui applicavano due criteri semplici semplici:

  1.  Quale opera è indubbiamente un capolavoro, secondo me?
  2. Quale mi richiedono maggiormente?

Il che mi ha sempre posto davanti a un dilemma che non ho mai confessato ai miei professori (che volete, ci tenevo a laurearmi): e se in realtà Virgilio, Cicerone, Aristotele e via dicendo fossero stati i best seller dell’epoca, cioè i vari Fabio Volo, E.L. James, Stephanie Meyer? Significherebbe che in pratica i copisti ci hanno costretto a studiare l’equivalente di greco-romano di libri come Twilight, mentre altri validissimi scrittori sono caduti per sempre nel dimenticatoio perché nessuno si è preso la briga di tramandarli. 
Provate a immaginare che la stampa non sia stata inventata:


«Oh, che faccio con Il fu Mattia Pascal, lo copio?»
«No, lascia stare, è una palla. Copia piuttosto l’ultimo di Paolo Brosio, che quello va forte»


Adesso potete capire la mia apprensione. Quello che cerco di dire è che magari di tutta la letteratura antica, a noi forse sono arrivati solo i rimasugli, e se l’Eneide è un rimasuglio cos’è che ci siamo persi? Naturalmente questa è una di quelle domande che non hanno risposta, del genere: «Cosa fa Federica Pellegrini quando non nuota?». 
Non ci dormo la notte.


Quindi la prossima volta che su Twitter o su Facebook 
cercate di fare i fighi scrivendo: «Carpe diem», ricordatevi che lo potete fare perché un filologo ha lavorato per voi. Nonostante i genitori fossero convinti che studiasse semiotica.