giovedì 27 febbraio 2014

L'Iliade di Omero: Achille, il solito raccomandato

Il mio sogno nel cassetto è avere un cassetto. Fatemi spiegare meglio: nell’immaginario comune del laureato/a-tipo in Lettere il sogno proibito non è tanto Monica Bellucci vestita da Catwoman o Riccardo Scamarcio in camicia che suda come una soppressata in pieno luglio. Nulla di tutto ciò. Quello che sognano tutti i laureati in materie umanistiche, dalla Svezia allo Zimbabwe, è solamente uno studio con una libreria enorme. «Per farci che? Visto che passerai la vita a distribuire volantini alla sagra della porchetta ruspante» direte voi. Se il vostro interlocutore ha mantenuto la calma e non vi ha ucciso con il vaso cinese che vi ha regalato vostra zia per Natale, vi risponderà serenamente: «Per avere un posto dove riflettere».

Il fatto è che i laureati in Lettere hanno una visione del mondo eccessivamente romantica: immaginatevi un enorme studio con librerie che arrivano fino al soffitto, una scrivania illuminata con quelle lampade col vetro verde e al centro della stanza, seduto in poltrona, nella penombra, una persona che riflette sulla vita e sul mondo. Il primo pensiero non è tanto «Toh, guarda che persona profonda!», quanto piuttosto «Maria, chiama in farmacia e ordina altri due autotreni di Xanax».
Non a caso la maggior parte della popolazione mondiale tende a riflettere sui grandi temi che attanagliano l’esistenza umana in due luoghi: al gabinetto e in mezzo al traffico. 
Essendo cinque in famiglia, onde evitare disagi, solitamente opto per la seconda.


Che poi nemmeno ci tenevo particolarmente a pigliare sta patente, visti i risultati che si vedono in giro. L’automobile ha effetti dannosi sulla psiche di molte persone: prendete un bonzo tibetano e dopo qualche giorno di guida vi ritroverete a che fare con un ultras della Stella Rossa di Belgrado, un esagitato che comincerà a dimenarsi e a suonare il clacson pure quando sta in fila alla cassa del supermercato.
In realtà la situazione è un po’ più complessa, infatti il violento è solo uno dei tanti tipi di automobilista che potete incrociare nel traffico. Per completezza, eccone alcuni esempi:

  • Il Freudiano. Normalmente ha un SUV che utilizza come surrogato ed estensione di una parte del corpo che Leopardi definirebbe il passero solitario. Usando il mezzo di locomozione, e solitamente anche il cervello, come la suddetta parte anatomica, tende ad intrufolarsi in ogni pertugio libero, ma con una predilezione maniacale per le strisce pedonali e i parcheggi per disabili. Non lo fa per cattiveria: è fermamente convinto che avere la difficoltà nella gestione e nell’accettazione del proprio passero solitario sia realmente un handicap
  • Quella con la Smart. Solitamente è donna, truccata come Moira Orfei al carnevale di Venezia e ha sulle dita delle sciabole che Freddy Kruger di Nightmare a confronto sembra un adolescente ansioso che si mangia le unghie. La caratteristica principale di questo tipo di automobilista è la totale convinzione che la Smart sia un motorino, infatti la si può vedere sfrecciare in corsia d’emergenza in autostrada e fare una faccia sorpresa quando la stradale, giustamente, dà fuoco alla sua patente seduta stante. La versione maschile è facilmente identificabile per l’abbronzatura color costoletta di maiale alla brace che sfoggia in pieno gennaio, con 28 cm di neve. In ogni caso sono riconoscibili dalla frase: «Sono arrivato, il tempo di mettere la Smart sul cavalletto e salgo»
  • Il Pensionato. È un essere mitologico che raramente si trova sulla strada, tuttavia ha la caratteristica di apparire magicamente da una piccola traversa non segnalata nemmeno dai satelliti spia della CIA e piazzarsi davanti alla vostra automobile alla velocità di crociera di 18 km/h ma solo se si verificano una o più di queste evenienze: siete in ritardo al lavoro il giorno in cui si discute della vostra promozione; siete in ritardo a un colloquio di lavoro; siete in ritardo per l’esame più importante della vostra carriera universitaria; siete in ritardo per prendere il treno e quelli successivi sono tutti Frecciarossa da 145 euro a biglietto (terza classe economy, accanto a Mamy di Via col vento e allo Zio Tom); siete in ritardo a un matrimonio. Il vostro.
  • Il Ciclista. Pur non essendo un automobilista merita tutta la nostra attenzione. Con una pazienza da speziale medievale durante la settimana frantuma nel mortaio gli attributi di mogli, fidanzate, amici e parenti decantando i vantaggi del telaio in titanio della sua bici progettato dalla NASA, dei sellini in silicone che evitano il formarsi di calli in posti dove i calli normalmente non avrebbero alcun motivo per formarsi. Tuttavia dà il meglio quando decanta i pregi della bicicletta: moto, vita sana, contatto con la natura e soprattutto relax. Peccato che i posti che privilegia il ciclista per le sue scampagnate nel weekend siano in prossimità di svincoli autostradali. A quarantadue chilometri dall’albero più vicino. Inoltre il contatto con la natura al ciclista non fa tanto bene, visto che si organizzano in gruppi di sei-settecento occupando tutta la carreggiata e se sfiori il clacson per chiedere di passare sono capaci di tirare fuori la pompa della bici e descrivere con ricchezza quasi barocca di particolari cosa fartene
  • Quello che lavora all’anagrafe. È un tipo tranquillissimo che non si nota affatto, salvo nel momento in cui, a un incrocio, qualcuno gli taglia la strada. La reazione che segue, di solito, è di questo genere: scende dalla macchina, constata il danno (visibile solo al microscopio elettronico) e senza che voi abbiate aperto ancora bocca dirà: «Forse non hai capito chi sono io», o la variante folkloristicamente più accattivante «Forse non hai capito chi sono i miei parenti». Mentre voi state ancora slacciando la cintura di sicurezza per scendere, comincerà a snocciolare un elenco di nomi, date e fatti che manco Paolo Mieli in preda a una crisi isterica. In realtà a lui non interessa essere risarcito dall’assicurazione, per cui basterà annuire e dimostrarsi interessato e, a tratti, timoroso per le sue conoscenze, in modo che la sera possa andare al bar e vantarsi con gli amici

Quando si parla di viabilità stradale, di solito, c’è sempre qualcuno di una certa età che se ne esce con qualcosa del tipo: «Eh, i tempi sono cambiati, prima non era così». Certo, prima era molto meglio, basti pensare a Fra Cristoforo che per una questione di precedenza commette un omicidio, oppure all’archetipo di tutte le liti stradali: l’Iliade di Omero.

L’Iliade è un poema epico scritto in esametri dattilici e diviso in ventiquattro libri, per un totale di quasi 16.000 versi, il che, a noi abituati alle saghe di vampiri da 38-39 libri a botta, può sembrare irrisorio, tuttavia bisogna considerare che i cantori greci la recitavano a memoria. E noi dobbiamo scrivere la lista per fare la spesa!
Contrariamente a quanto suggerisce il titolo (Ilio era l’antico nome di Troia), l’Iliade non parla della guerra di Troia e comunque non copre tutti i dieci anni di combattimenti, ma solo gli ultimi 51 giorni.


«E allora di che parla?». Semplicemente di un’incazzatura, né più né meno. Quella di Achille.
Il figlio di Peleo infatti oltre ad avere il piè veloce, di veloce aveva anche la caratteristica di farsi girare le bolas nei momenti meno opportuni.
Nel caso dell’Iliade, l’ira di Achille è scatenata da Agamennone, capo dello schieramento greco, che prima rapisce Criseide, sacerdotessa di Apollo, ma giustamente il dio non vede la cosa di buon occhio e perciò scatena una pestilenza nel campo acheo. Da perfetto gentleman allora Agamennone lascia andare Criseide e pretende e ottiene da Achille la sua schiava, Briseide.
Se non ci avete fatto caso, sono davvero poche le cose che non si devono ai Greci. Una di queste è il femminismo.


Rispettando rigorosamente il cliché del figlio unico di buona famiglia e viziato, Achille dice in buona sostanza: «Ti sei preso la schiava? E allora non gioco più», vale a dire che decide di entrare in sciopero e di non combattere finché il re di Micene non gli avesse restituito Briseide.
Inizialmente i Greci non danno molto peso ad Achille e non si può dargli torto: insomma c’erano eserciti venuti da tutta la Grecia per difendere le corna di Menelao, vuoi vedere che manca un solo uomo e non riusciamo a vincere?
Esattamente. Dal momento in cui Achille incrocia le braccia gli Achei, da esercito spietato, diventano ballerini di Amici di Maria De Filippi e non ne combinano una giusta. Ulisse, il più “laico” degli eroi, preso dalla disperazione, entra addirittura nelle mura troiane per rubare il Palladio, una statua della dea Atena, perché, secondo una profezia, Troia non sarebbe caduta finché il simulacro fosse rimasto in città. Eppure nonostante tutti gli sforzi, Ettore, figlio di Priamo, arriva quasi a bruciare le navi greche.


Vista la situazione, Patroclo decide di indossare le armi di Achille per far credere ai soldati che il Pelide sia tornato in battaglia e infondere loro fiducia. L’operazione simpatia in realtà dura pochi minuti, il tempo di sguainare la spada che Ettore lo spedisce nell’Ade. Biglietto di sola andata.
Venuto a sapere dell’accaduto, Achille, che come abbiamo capito ha un carattere molto calmo e composto, decide di reagire sobriamente e, nell’ordine:

  1. Uccide tutti gli ostaggi troiani
  2. Fa pace con Agamennone
  3. Si fa forgiare dal dio Vulcano una nuova armatura (anche all’epoca avere buone conoscenze aiutava)
  4. Scende in battaglia e uccide talmente tanti nemici che lo Scamandro, il fiume che bagnava Troia, diventa rosso di sangue

L’apice però si ha nel combattimento con Ettore da cui, se proprio vogliamo essere precisi, Achille non ne esce proprio bene. Innanzitutto l’idea di battersi in duello è di Ettore, poi bisogna considerare che Achille è figlio di una ninfa, per di più pressoché immortale (voglio vedere voi, in mezzo a tutto quel casino a colpire proprio il tallone). Come se non bastasse ci si mette di mezzo pure Atena che, con una folata di vento, impedisce alla lancia del troiano di raggiungerlo; passa le armi ad Achille approfittando della sua invisibilità; assume le sembianze di Deifobo, fratello di Ettore, per trarlo in inganno. Insomma, aveva ottime raccomandazioni, il ragazzo. Il risultato è che Achille trafigge Ettore e questi, ignorando completamente ogni legge fisica e anatomica, con una lancia di quasi tre metri conficcata nella gola, attacca un pistolotto di due ore. E alla fine che fa l’eroe greco? Ha pure il coraggio di forare le caviglie dell’avversario, legarlo al suo carro e fargli fare il giro delle mura di Troia nemmeno avesse vinto i mondiali prima di portarselo all’accampamento Acheo.
Ma perché tutto questo astio?


Il fatto è che, secondo alcuni critici, Patroclo sarebbe stato l’amante di Achille. «Ma come? E allora Briseide a cosa gli serviva, per stirargli l’armatura?». I Greci erano un popolo antico, con tradizioni ancestrali, difficilissime da interpretare per noi uomini moderni aperti di vedute, per questo motivo per loro (nel 750 a.C.!) era assolutamente normale che un uomo, per di più un soldato, potesse avere un compagno e decidere nella più totale libertà come vivere la propria sessualità. Pensate a quanto erano arretrati. Loro.

La notte stessa Priamo, re di Troia, si reca segretamente da Achille per chiedergli al restituzione del corpo del figlio e dopo un serrato tira e molla l’eroe accetta. Non prima di essere scoppiato in un pianto talmente disperato che per poco Priamo non lo deve consolare.

Ecco tutto.

E la guerra?
E Ulisse?
E il cavallo di legno?
E l’incendio?
E il tallone?


State tranquilli che nell’Iliade non troverete nulla di tutto questo. Nemmeno un accenno. 
Omero, o comunque tutti gli aedi greci, campavano raccontando storie e molti secoli prima di Lo squalo, Indiana Jones e The Avengers avevano capito se volevano continuare a campare non potevano raccontarle tutte in una volta sola. Per questo motivo il resto delle vicende della guerra di Troia lo troviamo nei due sequel: l’Odissea e l’Eneide.


E a proposito dell’Odissea, nell’Iliade il nostro amico Ulisse non ci fa proprio una bella figura. L’uomo dal multiforme ingegno prende bastonate il povero Tersite per una battuta e uccide Palamede per vendetta. Giusto per dirne qualcuna.

Un particolare curioso dell’Iliade è l’introduzione dei personaggi. Facciamo un esempio.
Achille e Menelao si incontrano.
Achille: «Salute, prode fratello di Agamennone»
Menelao: «Salute a te, figlio di Peleo»
A: «Quali novità mi porti, valoroso Atride?»
M: «Nulla di cui tu ti debba preoccupare, piè veloce»


Andando avanti così per una mezz’ora senza mai chiamarsi per nome.

Il fatto che per tutti i 16.000 versi vengano costantemente ricordate parentele, nomignoli, soprannomi, non è dovuto ad un improvviso attacco di arteriosclerosi da parte di Omero, quanto alla necessità, da parte dei vari cantori, di dover ricordare a memoria l’intero poema e questo espediente li aiutava egregiamente.
Laddove però la memoria falliva non c’era problema, visto che, almeno fino alla morte di Alessandro Magno, nessuno si era preso la briga di mettere nero su bianco l’opera. Ovviamente tutto ciò creava qualche disagio, come il fatto che ogni polis greca avesse una sua versione dell’Iliade che tendeva a dare maggiore spazio all’eroe locale.


Ma tutto ciò che c’entra con la viabilità stradale?
Mica crederete davvero che tutti i re Achei armassero il più grande esercito dell’antichità e una flotta di 1186 navi per una questione di corna? Se fosse così l’Iliade dovrebbe essere il poema fondativo degli avvocati divorzisti, non della Grecia.
La questione è molto più semplice: Troia controllava lo stretto dei Dardanelli e faceva pagare il dazio a chiunque vi si trovasse a passare da quelle parti, cioè i Greci. Ancora oggi le Autostrade italiane, in ricordo del mito omerico, ogni 1 gennaio aumentano il pedaggio.


Quindi Troia è esistita davvero? Achille, Diomede, Paride e compagnia bella sono personaggi reali?
La situazione è un po’ complicata. Fino al 1870 fior fior di accademici hanno affermato che quello di Omero era solo un mito. Un bel giorno però spunta fuori un certo Heinrich Schliemann, un commerciante tedesco senza alcuna base scientifica ma con una passione per i miti Greci. Ebbene cosa fa il nostro Schliemann un bel giorno? Mette l’Iliade sotto l’ascella a mo’ di baguette parigina e parte per la Turchia alla ricerca delle rovine di Troia, basandosi solo sulle descrizioni di Omero.

Il mondo degli archeologi si comporta come una qualsiasi lobby quando ogni due o tre secoli spunta una persona con un’idea geniale (se vi è subito venuto in mente Steve Jobs cliccate qui), cioè viene deriso con frasi del tipo: «Ma dove vai che non hai le conoscenze adatte per iniziare uno scavo?», «Ma chi ti credi di essere?», «Ma, secondo te, non ci avevamo già pensato?», «A sto punto domani prendo Topolino e parto alla ricerca di Paperopoli». Roba così, insomma.


Essendo a quel tempo i tedeschi ancora un popolo simpatico, non se la prende a male e con una pazienza certosina, seguendo solo ed esclusivamente il poema omerico, scopre la bellezza di ben nove Troia (al singolare, per evitare facili battute). Non solo, riporta alla luce il cosiddetto tesoro di Priamo, un corredo funebre regale chiamato così più per marketing che per fedeltà storica.

Ovviamente gli scavi di Schliemann provocano non pochi disturbi gastro-intestinali agli accademici di tutto il mondo che archiviano la vicenda come “fortuna del principiante”. Fatto sta che nove anni dopo, basandosi questa volta sulla Periegesi della Grecia di Pausania, riporta alla luce le rovine di Micene, avvelenando definitivamente le future generazioni di archeologi.


E dunque cos’è che ci insegna l’Iliade?

Anche se qualcuno ha voluto vedere nello scontro Achei-Troiani la solita contrapposizione occidente-oriente, il poema omerico, composto decine di secoli fa, va oltre questa visione del mondo da minus habens. L’Iliade non è solo il poema fondativo della Grecia, ma dell’intera umanità perché Omero (o chi per lui) ha saputo distribuire indicibile crudeltà e commovente generosità in entrambe le fazioni. Il sangue che scorre nell’Iliade, che sia Acheo o Troiano, è comunque rosso e i morti si piangono nello stesso identico modo. Nell’Iliade non troverete mai odio ingiustificato, semmai vendetta; non c’è alcuno scontro di civiltà, Menelao, se gli ridavano Elena, se ne tornava a casa sua dicendo «Vabbè, abbiamo scherzato»; gli uomini e le donne dell’Iliade, nel limite del contesto, dimostrano lealtà, semmai chi si comporta da carogna sono proprio gli dei che parteggiano per l’uno o l’altro schieramento.
E poi cosa sarebbe la letteratura senza l’Iliade? Virgilio sarebbe stato ricordato come l’Apicella di Augusto; Dante avrebbe fatto l’impiegato del catasto; Petrarca, Ariosto e Tasso si sarebbero dovuti svegliare alle quattro del mattino per controllare i peperoni rossi insieme all’omino della pubblicità della Conad.
Già, perché Omero ha influenzato addirittura chi non ha letto nessuna delle sue opere, è come se, in un certo senso, vivesse dentro di noi, facesse parte della nostra identità, non settentrionale-meridionale-occidentale-orientale, ma semplicemente umana perché nei ventiquattro libri dell’Iliade troviamo amore, guerra, pace, spionaggio, psicologia, religione… vale a dire la summa di tutti i generi letterari che si formeranno nei secoli a venire. E se l’uomo non si distingue per la capacità di scrivere e raccontare storie, allora per cosa è diverso dal resto delle creature?



In alternativa la lezione che possiamo cogliere è che non ci conviene litigare per questioni stradali: rischiamo di tornare a casa dopo dieci anni con un cavallo di legno carico di ciclisti incazzati come bisce. 


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