mercoledì 24 dicembre 2014

Torquato Tasso: «Io e le mie ossessioni»

Natale è quel periodo dell’anno in cui tutto può accadere. È quel periodo in cui, da bambino, dai per scontato che un ultraottantenne obeso, a rischio di ipertensione e infarto, se ne vada volando di tetto in tetto su una slitta decappottabile in pieno inverno senza accusare nemmeno un piccolo fastidio alla prostata. Fa tutto in una notte sola, senza mai essere in ritardo e tu ci credi, perché sei bambino, perché sei un’anima candida, perché in vita tua non hai mai viaggiato con Trenitalia e quindi vivi in un mondo fatato dove non impieghi 4 ore per percorrere 30 chilometri. Del resto la televisione non ti aiuta: appena scatta il 1 dicembre appaiono sullo schermo renne parlanti, pupazzi di neve che ballano il tiptap, gnomi e folletti che nemmeno dopo un clistere di LSD.
Avendo un animo fanciullesco, anch’io ho una creatura immaginaria preferita: il commesso competente di MediaWorld. Per chi non fosse mai stato da MediaWorld si rende necessaria una spiegazione. La scena è quella che segue.

Mancano pochi giorni a Natale e, logorato dalle canzoni dei Modà e dei Tiromancino che tuo fratello carica sul tuo sull’iPod a tua insaputa, decidi di regalargli un lettore MP3 tutto suo. Così, con le orecchie sanguinanti, ti avvii verso il MediaWorld più vicino e finalmente trovi l’oggetto che cercavi. A questo punto si aprono due scenari:
  1. Vai alla cassa e paghi
  2. Preso dalla sindrome del vecchietto che osserva i cantieri ti viene voglia di fare qualche domanda per saperne di più sul lettore MP3 che ti stai accingendo a comprare



La soluzione è lì a portata di mano, ma tu hai studiato Lettere e perciò non sai riconoscere la strada breve nemmeno se compare una hostess che ti indica il corridoio luminoso. Afferri perciò il lettore dallo scaffale e lo porti al commesso più vicino che, essendo il primo che hai agganciato, da contratto risponderà: «Guardi, non sono di questo reparto. Deve chiedere al collega», indicando un puntino rosso indistinto dall’altra parte del negozio (6800 metri quadrati). Dopo aver preso tre navette, due funicolari e un aliscafo, finalmente raggiungi il puntino rosso e chiedi: «Scusi, volevo sapere se legge anche il formato WMA». Il commesso MediaWorld allora prende in mano la scatola con una lentezza vista solo in un film d’autore francese e comincia a rigirarla con una faccia piena di stupore che sembra dire: «Ma davvero in sto coso così piccino c’entrano migliaia e migliaia di canzoni?». Il commesso MediaWorld, che nonostante il suo lavoro per quanto riguarda le nuove tecnologie è rimasto fermo alla pentola a pressione, è tuttavia un tipo scaltro, per cui nella sua mente si apre questo diagramma: 



Capite bene che, con un diagramma del genere, potete chiedergli pure: «Ma posso inserire anche delle batterie termonucleari con vassilisca propionata al pomodoro?». Il commesso vi dirà: «Certamente!», come se fosse la cosa più naturale del mondo. 

Ma perché questo masochismo da parte di MediaWorld? Io mi sono fatto una mia idea: in realtà i commessi MediaWorld sono gentiluomini e gentildonne del XVIII secolo che sono stati ibernati e scongelati nella nostra era per testare le loro reazioni stupite davanti alle meraviglie della tecnologia moderna: televisori LED, computer portatili, stampanti 3D, macchine da scrivere, piastre per fare i waffle in casa…
In alternativa potrebbe essere che in realtà i commessi di MediaWorld siano dipendenti di altre catene di elettronica stipendiati per far fallire i concorrenti.

Ora, in una situazione di oscurantismo come questa, dove i commessi ti affibbiano stufe a pellet spacciandole per lettori Blu-ray, è evidente che a Natale esiste un solo e vero eroe: l’esperto di tecnologia casalingo. Manco a dirlo, nella mia famiglia sono proprio io.
Che poi, se proprio vogliamo essere precisi, l’esperto di tecnologia in realtà è appena un gradino sopra al cambiare le pile del telecomando ma, diciamocela tutta, si crogiola nel suo momento di gloria: appena si scarta qualsiasi tipo di marchingegno elettronico, subito qualcuno urla: «Ma faglielo vedere a [inserire nome del vostro esperto di tecnologia casalingo] che ne capisce di queste cose». E così, mentre ti muovi a rallentatore con una musica epica in sottofondo, tra lo sguardo ammirato di nonne e zie, afferri il tostapane (perché nel 90% dei casi a nessuno verrebbe in mente di regalare un iMac a zio Pasquale, che ha una FIAT 126 del ’71 e considera i Pooh un gruppo heavy metal satanico) e dai il tuo parere. Il tutto mentre qualcuno puntualmente commenta: «Ma com’è che non sta in orbita con Samantha Cristoforetti, che è così bravo con ste cose?». Roba che se ti vedesse, il tuo amico ingegnere costruirebbe una sedia elettrica con le luci del presepe e ti fulminerebbe davanti a tutti i parenti. Il giorno della vigilia.

Tutto sembra perfetto, ti stai godendo pieno di commozione l’unico momento dell’anno in cui qualcuno ascolta la tua opinione (per un laureato in Lettere è una soddisfazione), nulla potrebbe turbare questa armonia. Nulla eccetto una persona. Tu avverti la sua presenza, come Pegasus nei Cavalieri dello Zodiaco percepisci che c’è una perturbazione nel Cosmo e che il tuo acerrimo nemico si sta avvicinando. È subdolo, ha il viso e l’aspetto di un tuo parente ma tu sai che non è lui a parlare ma un demone che si è impossessato del suo corpo: il tecnoscettico.
Il tecnoscettico è un individuo mite e amabile come una convention di bonzi tibetani e nel corso dell’anno arrivi a pensare che se il mondo fosse governato da persone come lui non ci sarebbero più guerre. Fino al giorno in cui il tecnoscettico non riceve un regalo tecnologico. Già, perché il tecnoscettico è un po’ come quelle persone che dicono: «Sono molto sportivo» solo perché guardano in televisione ogni sport che mente umana abbia concepito ma in realtà l’unico modo per farli alzare dal divano è procedere chirurgicamente. Ecco, il nostro eroe si circonda di ogni sorta di gadget tecnologico all’ultima moda ma non ha la minima idea di come farlo funzionare; per di più ha un orizzonte delle aspettative molto ampio: cioè fondamentalmente compra marchingegni non per le loro caratteristiche e funzioni effettive, ma per le caratteristiche e funzioni che lui crede che il marchingegno abbia.

Vi faccio un esempio. Il titolo di tecnoscettico in famiglia se lo contendono mio fratello e il padre della mia ragazza, ma per una questione anagrafica darò la precedenza a quest’ultimo. La cosa si svolge in cinque passi:
  1. La raccolta di informazioni: che si tratti di uno spremiagrumi o di una trivellatrice per fare i carotaggi in Antartide, l’acquisto è preceduto da mesi (mesi!) di preparazione con ricerche su internet, opinioni di colleghi, sondaggi Censis, interpellanze parlamentari, brainstorming con esperti del CERN di Ginevra
  2. L’acquisto: ci si reca in negozio e prima di fare il grande passo si parla con il commesso, raccontandogli la fase precedente e fornendogli tutte le indicazioni che potrebbero essere utili per orientare al meglio il suo consiglio, comprese planimetria della casa e ultime analisi dei trigliceridi
  3.  L’installazione: tutto procede a meraviglia ma ad un certo punto, quando ormai vedi la luce in fondo al tunnel, lui ti blocca e ti dice: «Mmm, qui c’è un problema». Con gli occhi pieni di terrore lo vedi con le mani sui fianchi mentre ti espone la sua teoria su come andrebbe montata quella cosa. Seguono dai 15 a 25 minuti, libretto delle istruzioni alla mano, per convincerlo che è improbabile che una multinazionale giapponese, che paga centinaia di migliaia di dollari all’anno ai suoi ingegneri e in ricerca, non sappia come funzionino i suoi apparecchi
  4. Le aspettative: è la parte più drammatica. Lui si è fatto un’idea di quello che l’apparecchio che ha comprato dovrebbe fare, peccato che il più delle volte non coincide con la realtà, pertanto si procede con il teatro dell’assurdo.
Lui: «Bene, come si fa a registrare i programmi?»
Tu: «Guarda che questo è un modem»
Lui: «E allora? Il mio collega ci registra i programmi»
Tu: «Può darsi che ha un modem collegato a un decoder Sky»
Lui: «E allora colleghiamolo al decoder»
Tu: «Ma tu non sei abbonato a Sky»
Lui: «Ah, giusto… Com’è che si registrano i programmi?»

5. La presa di coscienza: è la fase più drammatica. Qui il nostro eroe prende coscienza del fatto che Walt Disney quando diceva «Se puoi sognarlo puoi farlo» non si riferiva alla possibilità di fare un ottimo cappuccino con una lavatrice. In questa fase il teatro dell’assurdo lascia spazio al teatro kabuki con reiterati tentativi di harakiri appena si raggiunge la consapevolezza che quelli del CERN hanno mentito. Sovente questa fase è accompagnata da manie di persecuzione con frasi del tipo «Perché solo a me capitano queste cose?»

Inutile tentare di spiegare al tecnoscettico che non c’è nessun complotto delle multinazionali dell’elettronica per farti comprare quanti più oggetti possibile: con il frullatore non ci puoi vedere le partite.

Ma è il tecnoscettico un uomo nuovo che si fa carico di tutte le ansie moderne? In verità no. Personaggi che vedevano sempre qualcosa di strano e di oscuro che tramava contro di loro ce ne sono sempre stati e uno di questi era nientemeno che Torquato Tasso.

Torquato Tasso nacque a Sorrento l’11 marzo del 1544 da una famiglia di origini toscane al servizio di Ferrante Sanseverino, principe di Salerno. Per ragioni che non vi sto qui a spiegare, Torquato e il padre viaggiano in lungo e in largo per tutta l’Italia manco avessero fatto i trapezisti nel circo Togni. Come ogni buona famiglia rinascimentale, anche in quella del futuro scrittore non mancano episodi edificanti da raccontare ai nipotini la sera di Natale: tipo la nonna che è stata avvelenata dagli zii per una questione di eredità oppure la sorella che per poco non veniva rapita dagli ottomani (il rapimento alieno non era molto in voga all’epoca).
Essendo figlio di buona famiglia, da copione viene mandato a studiare legge a Padova, che all’epoca era un po’ come fare l’Erasmus e, da perfetto studente fuori sede, tutto fa tranne che studiare. Infatti si innamora di Lucrezia Bendidio (era il cognome, non il soprannome) e le dedica una serie di componimenti, fin quando qualcuno non gli fa notare che la ragazza è già promessa sposa. Il giovane però la prende bene e comincia a scrivere delle rime in occasione di funerali di personaggi illustri, una roba così deprimente che non sarebbe venuta in mente neanche a Leopardi.

Il padre di Torquato, capito che il figlio di fare l’avvocato non ne vuole proprio sapere, invece di fargli fare un concorso per farlo assumere nelle Poste, sceglie una strada che in un’epoca legalità e trasparenza come la nostra appare impensabile: lo raccomanda al cardinale Luigi d’Este che prontamente lo assume come segretario. In questo periodo Tasso comincia a scrivere il primo nucleo della Gerusalemme liberata che lui chiama Gottifredo, da Goffredo di Buglione, protagonista dell'opera. Alla corte di Luigi d’Este viene in contatto con altri intellettuali (la dicitura odierna è nullafacenti) che influenzeranno la sua scrittura.
Ma in che cosa consisteva il lavoro di segretario? A differenza di Ariosto, che per poco non doveva anche montare i mobili che il suo signore comprava all’IKEA, a Tasso fu data l’opportunità di dedicarsi solo ed esclusivamente alla scrittura. «Bella fortuna!» direte voi. Ecco, infatti Tasso a un certo punto decide di lasciare il cardinale Luigi d’Este e si recò alla corte di Alfonso II, a Ferrara. E qui iniziano i problemi.

Mentre è al servizio di Alfonso II, Tasso completa la stesura di quella che sarà la Gerusalemme liberata ma che per il momento non ha ancora un nome. La situazione editoriale dell’epoca è un pochino complessa: non è che potevi andare da un editore che con un piccolo investimento di 3000 euro ti faceva il booktrailer su YouTube ed altre menate del genere per fare lo splendido con gli amici. No, perché solo qualche anno prima al papa Paolo IV era venuta in mente una brillante idea: creare l’Index librorum prohibitorum che, contrariamente a quello che può suggerire il nome, non è una formula presa da Harry Potter ma si tratta dell’Indice dei libri proibiti. Praticamente tutti i libri che venivano scritti e stampati dovevano passare l’esame della Congregazione dell’Indice, un organismo pontificio che aveva la facoltà di decidere se un libro dovesse essere divulgato o meno.
La Congregazione, oltre ad occuparsi di “cultura”, poteva cortesemente segnalare un determinato autore all’Inquisizione che si occupava di portarlo sulla retta via con dei metodi talmente efficaci che farebbero sembrare i torturatori della CIA una comitiva di wedding planner. Sì, lo so che vedendo i titoli sugli scaffali delle librerie nel periodo natalizio vi viene nostalgia dell’Indice, tuttavia considerate che nella lista ci finirono gente come Dante, Petrarca, Croce, Foscolo, Machiavelli e fra gli ultimi anche l’intera opera di Moravia. Insomma, i peggiori si salverebbero in ogni caso.

Ma ritorniamo al nostro eroe. Tasso, giustamente, non ha nessuna intenzione di farsi strappare le unghie delle mani e dei piedi perché magari a qualcuno della Congregazione non è piaciuta la punteggiatura, perciò prima di pubblicare la sua opera la sottopone al giudizio di cinque eruditi: Sperone Speroni, Scipione Gonzaga, Flaminio de’ Nobili, Silvio Antoniano e Pier Angelio Bargeo.
Tasso ha tutte le buone intenzioni, purtroppo però dimentica che il Fight Club a confronto dell’ambiente letterario è una specie di circolo del cucito: infatti i cinque eruditi lo massacrano su tutti i fronti, soprattutto per quello che riguarda i contenuti moralistici dell’opera. Il nostro Torquato tuttavia sa di avere scritto una grande opera, perciò dapprima ribatte duramente, poi si ricorda che fra i cinque ci sono due cardinali che non ci metterebbero niente a mandare una letterina all’Inquisizione. Per questo motivo lo scrittore comincia a scrivere una serie di missive quotidiane agli eruditi per chiedere consigli e spiegazioni e che fanno di lui anche il vero e indiscusso l’inventore dello spam.

Nel frattempo Tasso è anche stressato per il clima presso la corte di Alfonso II, infatti litiga spesso con alcuni cortigiani che arrivano addirittura a bastonarlo. Stanco di questa situazione e, preso anche da manie di persecuzione, decide di autodenunciarsi all’Inquisizione ferrarese. Il fatto che nell’autodenuncia il ragazzo faccia anche i nomi di alcuni cortigiani non aiuta molto a distendere i rapporti con il resto della corte, tant’è vero che Alfonso II decide di segregarlo nelle segrete del castello per evitare che vada a riferire quello che succede a Ferrara all’Inquisizione romana e quindi al papa. 

Pur non avendo mai visto Le ali della libertà con Morgan Freeman, Tasso riesce a scappare travestito da pastore e decide di far visita a Cornelia, sua sorella che abitava a Sorrento. Non si vedevano da anni, si sarà presentato con una scatola di biscotti danesi, penserete voi. Invece no, da simpaticissimo burlone qual era, appena gli aprono la porta, dice: «Tuo fratello è morto». Ovviamente alla poveretta viene un collasso, salvo poi confessare: «Stavo scherzando, volevo vedere se ci rimanevi male». Una volta convinta a posare la mazza chiodata che aveva prontamente afferrato per dimostrargli quanto aveva gradito lo scherzo, Cornelia decide di accoglierlo diversi mesi. Torquato però è un animo inquieto e di stare a fare il limoncello a Sorrento non ne vuole proprio sapere, perciò scrive una struggente lettera al duca Alfonso per invocare il suo perdono. Alfonso II si dimostra così magnanimo che non solo lo perdona, ma appena lo vede addirittura gli dà la stessa stanza di quando era partito. Nelle segrete del castello.

Fuggito di nuovo, Tasso comincia a peregrinare in tutta Italia fin quando non viene ospitato dal suo vecchio “datore di lavoro” il cardinale Luigi d’Este. Alla corte di quest’ultimo però lo scrittore viene colto da nuove crisi persecutorie e vede complotti dappertutto. Invece di dargli un programma tutto suo su Italia 1 in cui parlare delle scie chimiche o fargli aprire una pagina Facebook sui cerchi nel grano, il cardinale, da uomo lungimirante, lo fa rinchiudere nell’Ospedale di Sant’Anna, dove rimarrà per sette anni. L’Ospedale di Sant’Anna è il prototipo delle odierne strutture sanitarie pubbliche: assi di legno al posto del letto, cibo razionato e di pessima qualità, condizioni igieniche che rispettavano gli standard di una discarica abusiva.
Durante questo gradevole soggiorno Tasso accusa un rodimento d’intestino. Ad essere sinceri lo si può ben capire, visto che, approfittando della sua condizione, qualcuno decide a sua insaputa di dare alle stampe la Gerusalemme liberata

Piccolo momento curiosità: com’era accaduto qualche secolo prima con la Commedia di Dante (a cui Boccaccio diede l’attributo di Divina), anche nel caso della Gerusalemme liberata il titolo non venne scelto dall’autore. Nel caso del Tasso fu Angelo Ingegneri, promotore della prima edizione pirata, a dare il nome al capolavoro. È un po’ come se il nome degli album di Gigi D’Alessio li scegliessero quelli che vendono i CD masterizzati sulle bancarelle.

Anche se in condizioni piuttosto malandate Torquato Tasso però non ci sta a vedere la sua opera pubblicata a quel modo (aveva paura di finire sul rogo quando ci lavorava personalmente, figuriamoci adesso che ci lavoravano altri), perciò decide di rimboccarsi le maniche e di finire quello che aveva iniziato. Risultato: esattamente quello che avremmo oggi, a distanza di quasi seicento anni. Successo di pubblico stupefacente, critica un po’ tiepidina. Fra i primi a stroncare la Gerusalemme liberata c’è l’Accademia della Crusca che se la prende con il poeta per il largo uso di parole barbariche e cita come esempio fulgido di poesia Ludovico Ariosto scatenando una durissima polemica fra i sostenitori dell’uno e dell’altro paragonabile solo a uno scontro fra hooligans ubriachi. A onor del vero bisogna dire che Tasso sì, ci rimase male per come lo avevano trattato gli Infarinati (cioè gli accademici della Crusca), tuttavia non fu lui ad alimentare lo scontro bensì altri letterati. 

Uscito dall’Ospedale di Sant’Anna, il poeta ricomincia il suo peregrinare per l’Italia, di corte in corte, fino ad arrivare a Napoli. Qui le cronache ci dicono che le sue condizioni migliorano notevolmente: infatti oltre all’autolesionismo aggiunge pure delle visioni.
Il resto della vita di Tasso è tutto un andare di qua e di là in cerca di protezione, salvo poi scappare improvvisamente perché convinto che qualcuno trami contro di lui, fino al 25 aprile del 1595 quando, a soli 51 anni, muore a Roma.

Ora, giustamente, uno si può anche chiedere: «Ma com’è che la prof mi deve interrogare su uno che si tagliava da solo peggio di un emo?». Obiezione più che giusta, ma lasciatemi spiegare meglio di chi stiamo parlando.
Torquato Tasso è stato sfortunato, non tanto per le persone di cui si è circondato, quanto per l’epoca in cui è nato. Insomma, guardiamoci in faccia, ci sono scrittori e registi che sulle loro fobie e manie ci hanno costruito una carriera: Woody Allen, Hemingway, Stephen King… Se Tasso fosse nato, che ne so, nel 1974, la cosa più atroce che gli sarebbe capitata è un’intervista di 45 minuti da Fazio o da Daria Bignardi. Magari poi avrebbe rimpianto le segrete del castello di Ferrara, ma questo è un altro discorso.
Tasso è un poeta che va non solo letto e apprezzato, ma anche “coccolato”, è un autore la cui grandezza è stata scoperta solo dopo la sua morte e, checché se ne dica, non è che deve essere sta grande soddisfazione.

Siete ancora convinti che Tasso sia stato uno psicopatico? E se vi dicessi che forse forse un pochino aveva ragione? Già, perché è vero che il nostro poeta aveva una paura incontrollabile dell’Inquisizione, ma è anche vero che il motivo per cui Alfonso II lo rinchiuse non fu quello di mettere al sicuro un pazzo pericoloso per sé e per gli altri: Tasso era pericoloso per la corte del duca, infatti se avesse testimoniato davanti all’Inquisizione romana avrebbe detto due o tre cosine sui cortigiani di Alfonso II che avrebbero potuto incrinare i rapporti con il Papa.
Quindi altro che Giacobbo, Tasso stava a Guantanamo.

Se nonostante questa spiegazione siete ancora convinti che non valga la pena leggere Tasso, beh, vi posso augurare di essere assunti da MediaWorld e di avere come clienti solo ed esclusivamente tecnoscettici.