domenica 7 giugno 2015

Luigi Pirandello: Misterioso nella notte va...

Ritratto pirandello
Gli esimi economisti intervistati da Unomattina in un orario comodo solo per i latitanti ce lo ricordano: è necessario che ognuno di noi faccia uno sforzo per far circolare la moneta e attivare quel circolo virtuoso che permetta di uscire da questo Medioevo economico e creare milioni e milioni di posti di lavoro.
Per questo motivo qualche mese fa, animato da fervente spirito patriottico e a fronte di decine e decine di lezioni private a studenti che mi chiedevano come facevano i crociati a pagarsi le crociere (sic), ho preso il coraggio a due mani e, sganciando 31,50 euro, ho comprato un Chromecast: il miglior acquisto della mia vita dopo il pupazzo di Darth Vader che muove il testone a ogni vibrazione (45 euro a Disneyland Paris, mi auguro che con quei soldi abbiano comprato solo supposte effervescenti).

DISCLAIMER

Se già conoscete il funzionamento del Chromecast potete saltare il seguente paragrafo. Se siete della Guardia di Finanza potete considerare la spiegazione che segue come frutto della mia fervida immaginazione.

Il Chromecast è un prodigioso apparecchio che somiglia a una penna USB che si collega alla presa HD del vostro TV (combo di sigle +900000 punti). In breve: attraverso questa pennetta potete navigare in internet col vostro televisore e vedere filmati da YouTube.
«Eh, bella scoperta! I nuovi televisori già lo fanno!».
Sì, caro amico con uno stipendio fisso che cerchi di mortificarmi mettendo in bella mostra la tua posizione sociale, hai assolutamente ragione, però, come dice San Marzullo, protettore dei metronotte e dei panettieri, fatti una domanda e datti una risposta: secondo te, facendo lezioni a 3 euro/ora due volte a settimana, posso permettermi una Smart TV? Ecco, ci sei arrivato da solo.
Ma andiamo avanti.
La leggenda narra che collegando questo apparecchio al telefonino (non fate come mio fratello che me l’ha riportato indietro perché il suo Nokia 3310 non gli si collegava) sia possibile navigare sui siti di streaming e vedere i film direttamente sul vostro televisore.

Ora, date queste premesse, non so voi, ma per me il Chromecast è stato come i Beatles per la generazione degli anni 60, come Sulla strada per quella degli anni 70, come Jeeg Robot d'Acciao per quella degli anni 80, come Postal Market per quella degli anni 90 (ma questo vale solo per i maschietti e nemmeno per tutte le pagine). Insomma, mi ha aperto le porte della percezione e mi ha rivelato un mondo di cui conoscevo l’esistenza ma ne ignoravo le delizie: l’universo delle serie TV.
Dal momento in cui ho montato questa pennetta dall’aria innocente ho visto tutte le stagioni di: GomorraOrange is the new black, Breaking Bad, Big Bang Theory, How I met your mother, The Walking Dead, 1992 (da un’idea, un tantinello discutibile, di Stefano Accorsi) e un’altra decina di cui non vi riporto i nomi perché già così non so se le major mi possono fare causa (o Stefano Accorsi).
Come un tossicomane vagavo per la rete alla ricerca di nuove serie di cui nutrirmi, quando ho iniziato a cercare su Google: CentoVetrine streaming ho capito di aver toccato il fondo e, piangendo in posizione fetale, ho urlato: «Come sono arrivato fino a questo punto?», mentre una pioggia scrosciante mi batteva. Nonostante fossi in casa e facesse 32 gradi.

Dopo aver riadattato gli occhi alla luce del sole mi sono reso conto che mentre ero nel mio limbo di camorristi zombie impasticcati in tute arancioni laureati in fisica che cercano di sposarsi facendosi venire idee da Stefano Accorsi, il mondo intorno a me era cambiato. Ho scoperto che:
  • L’astronave-madre è tornata a riprendersi Andreotti
  • La ruspa è diventata una filosofia di vita
  • La Cristoforetti ha dato una nuova sfumatura alla locuzione fuga di cervelli
  • Salvini ha fatto la stessa cosa
  • Colorado è considerato un programma comico
A parte tutto, quello che mi è dispiaciuto di più è stato perdermi tutti quei bei omicidi nostrani. Ah, quelle belle interviste al criminologo di turno, quelle pugnalate ruspanti, quelle martellate alla nuca, le interviste ai vicini che, con una faccia basita, dicono di fronte alla telecamera «Era una così brava persona», i sondaggi fatti ai vecchietti davanti ai cantieri della metropolitana che presi alla sprovvista non possono che affermare «Non si capisce più nulla. Ai miei tempi non succedevano queste cose».

Momento, momento, momento. Siamo sicuri che quello-che-saluta-sempre-la-vicina-ottantenne-ma-nel-frattempo-ha-fatto-a-pezzi-la-nonna-e-l’ha-congelata-nei-sacchetti-gelo-come-la-peperonata sia un fenomeno nuovo?

Ebbene amici miei, a confutare questa tesi non sarò io ma nientemeno che Luigi Pirandello.

Luigi Pirandello nasce ad Agrigento nel 1867 da una famiglia benestante, il padre, ex garibaldino, infatti si occupava della gestione di una miniera di zolfo.

L’istruzione elementare di Pirandello-baby avviene in casa, con dei maestri privati, successivamente si iscrive prima ad un istituto tecnico e poi al ginnasio. Qui il giovane Luigi si appassiona alla letteratura (la leggenda narra che all’epoca con la cultura ci si campasse abbastanza bene) e perciò decide di iscriversi prima all’università di Palermo, poi a quella di Roma ma si laureerà a Bonn.

Ma perché Pirandello finisce per laurearsi in Germania?

Tutto nasce durante una lezione di latino in cui un professore sbaglia a tradurre un passo, Pirandello e un suo amico prete se ne accorgono e cominciano a ridacchiare. Con il proverbiale aplomb del professore universitario (mi auguro che nessuno di loro legga questo post), questo comincia a urlare e ad insultare il giovane prete. Data l’evidente ingiustizia, Pirandello allora decide di alzarsi e rivelare a tutti il motivo di quelle risatine. Applausi a scena aperta.

Peccato che all’epoca non ci fossero gli smartphone, ragion per cui nessuno ha potuto caricare il video su YouTube e farlo circolare su Facebook e quindi farlo finire di diritto sulla pagina di Repubblica.it con il titolo: «Questo studente universitario si è tolto una bella soddisfazione. Ha detto al prof che…» costringendoti a cliccare sul link.

Il povero Luigi quindi finisce davanti Consiglio di disciplina dell’Università di Roma che lo obbliga ad abbandonare l’ateneo. Tuttavia un altro suo docente si era accorto delle potenzialità del giovane, per cui gli consiglia ad iscriversi all’Università di Bonn, in cui insegnava un suo carissimo amico che a quanto pare si occupava di meritocrazia.

Tornato in Italia, nel 1894 Pirandello sposa Maria Antonietta Portulano. E qui iniziano i guai.

Infatti nel 1903 la famiglia di Pirandello viene ridotta praticamente in miseria a causa di una frana in una miniera gestita dal padre. Il tracollo economico non aiuta la situazione psicologica di Maria Antonietta che già di suo circolava per casa di notte con un coltello in mano (provateci voi a dormire tranquilli con Jack Nicholson di Shining a fianco), in più le sue crisi di gelosia diventano patologiche, tanto che viene rinchiusa in un ospedale psichiatrico dove morirà nel 1959.

Ora, la domanda più stupida che si può fare a uno scrittore è: «C’è qualcosa di autobiografico nei tuoi romanzi?». Anche se mi metto a scrivere un racconto di fantascienza è ovvio che qualcosa di autobiografico c’è: l’ho scritto io! Quindi figuratevi se tutta sta storia della miniera e della moglie che andava in escandescenza non poteva non influenzare le opere di Pirandello.
Ragione per cui nel 1908 Luigi Pirandello pubblica un saggio dal titolo L’umorismo. Arrivati a questo punto del programma lo studente medio, già piagato da un anno scolastico all’insegna dell’allegria, in cui si è sciroppato Manzoni, Verga, D’Annunzio e Carducci, pensa: «Finalmente adesso si ride un po’». Sbagliato!

Dopo la lettura del saggio solitamente si prova un senso di solitudine e smarrimento che nemmeno in un documentario sovietico sulla vita sociale del lemure artico.

Pirandello in pratica dice: mettiamo che ipoteticamente un giorno inventino la televisione e mettiamo che trasmettano dei programmi. Mettiamo che fra questi programmi ce ne sia uno in cui persone di una certa età per arrotondare la pensione minima di 450 euro si prestino a fare determinate cose. Mettiamo anche che queste ipotetiche persone, dopo una vita di onesto lavoro, debbano truccarsi e vestirsi come dei dodicenni, nemmeno particolarmente brillanti, per far ridere il pubblico. Alla fine qual è il risultato?

  1. Il comico, cioè l’avvertimento del contrario: in pratica è la risata spontanea, di pancia. È quando ridiamo della situazione perché avvertiamo che c’è qualcosa che non va ovvero che va in contrasto con la realtà
  2. L’umorismo, cioè il sentimento del contrario: in pratica avvertiamo che c’è qualcosa che non quadra però dopo la risata spontanea ci mettiamo un attimo a riflettere sul perché un’ottantenne si veste come una delle Winx e questo ci provoca un sorriso malinconico perché, in fondo in fondo, la paura che prima o poi facciamo la stessa fine per mettere il piatto a tavola un pochino ce l’abbiamo
In pratica Pirandello si riferiva più o meno a questo:

Angela favolosa 1 586x332

Oh, naturalmente mi sono permesso di parafrasare un pochino.

Nel frattempo Pirandello, dopo una breve parentesi verista, scrive anche dei romanzi come  Il fu Mattia Pascal Uno, nessuno e centomila. Tuttavia non essendo ancora deceduto, requisito minimo per avere recensioni positive dai critici letterari italiani, le sue opere letterarie non vengono apprezzate, ma il nostro eroe ha un’altra passione, forse anche più forte della Letteratura: il teatro.
In pochi anni Pirandello sforna una produzione teatrale sconfinata: Liolà, Così è (se vi pare), Il berretto a sonagli, Sei personaggi in cerca d’autore e tantissimi altri titoli che porta in scena nei più grandi teatri italiani e stranieri, tanto che addirittura Albert Einstein volle conoscerlo nel corso di una tournée teatrale negli Stati Uniti.
Il successo di Pirandello fu tale che nel 1934 viene insignito del Premio Nobel. E io mi vanto ancora per la targa vinta alla corsa coi sacchi a nove anni. 


Veniamo però alla nostra rubrica dal titolo Controversie. Nel 1924 Luigi Pirandello scrive una lettera a Benito Mussolini pregandolo di accettare la sua iscrizione al Partito Fascista.
Adesso, sta cosa del rapporto tra fascismo e Pirandello non si è mai risolta né la risolveremo su questo blog (eddai, vi sembro il tipo?) però vi riporto le interpretazioni che sono state fatte.

  • Pirandello aderì al fascismo perché era di famiglia risorgimentale e forse considerava Mussolini l’uomo della provvidenza (non sarebbe stato l’unico), capace di risollevare la situazione italiana
  • Pirandello aderì al fascismo per non avere problemi col regime (se fosse vera questa ipotesi Pirandello oltre a prevedere la deriva della televisione italiana avrebbe previsto anche quella del regime fascista)

Forse si tratta di un po’ tutte e due i fattori, non lo sapremo mai. Fatto sta che nonostante l’omicidio Matteotti (dopo il quale addirittura Giovanni Gentile prenderà le distanze da Mussolini), nonostante Pirandello fosse tra i primi firmatari del Manifesto degli intellettuali fascisti e nonostante avesse donato la medaglia del Nobel per la raccolta dell’oro alla patria (a dire la verità partecipò pure Benedetto Croce che era antifascista), il regime lo trattò sempre con un certo distacco.

Certo, a Mussolini faceva comodo un nome di risonanza internazionale che si dichiarava apertamente fascista, però gli preferì sempre D’Annunzio, tant’è vero che gli verrà imposto di curare la regia teatrale della Figlia di Jorio di D’Annunzio. Che è un po’ come comprare quei dischi Mina canta Toto Cutugno. Solo che a Mina nessuno l’ha costretta, le canta davvero lei per scelta!

Ma perché i fascisti non apprezzavano Pirandello più di tanto?
Il problema stava nel fatto che Pirandello aveva una concezione della vita considerata dal regime troppo borghese, in particolare non era ben vista la poetica delle maschere.

Il nostro Luigi è vissuto nel periodo d’oro della psicanalisi, per di più la malattia della moglie aveva molto influenzato il suo modo di vedere il mondo.
Pirandello ritiene che ognuno di noi indossa una maschera che gli viene imposta dalla famiglia, dalla società, dal nostro datore di lavoro o addirittura da noi stessi. Vale a dire che nessuno è ciò che sembra, ci conformiamo all’idea che gli altri si sono fatti di noi: studente, impiegato, maestra, ingegnere… Ecco perché salutiamo sempre quando incontriamo qualcuno nell’androne del condominio ma nel frattempo abbiamo macellato il nostro salumiere.

Quindi tutti sono infelici perché non sono liberi di essere loro stessi? Per Pirandello è proprio così, siamo destinati a trascinarci su questa terra facendo finta di essere ciò che non siamo, per cui potrebbe essere che Lapo Elkann nel chiuso della sua stanzetta legga saggi di fenomenologia dello spirito, Salvini sogni di viaggiare per il mondo in roulotte e Alberto Angela in gran segreto non si è perso un solo concerto di Miley Cyrus.
Naturalmente sta storia della maschera non è che possiamo utilizzarla con la Guardia di Finanza dicendo «Scusate, ma allora non avete letto Pirandello!» quando scoprono che mentre dichiariamo un reddito di 375 euro l’anno nel frattempo abbiamo la Lamborghini in garage.

Tuttavia una via d’uscita c’è. Per Pirandello infatti esistono tre possibili reazioni quando ci rendiamo conto che viviamo con una maschera appiccicata sul viso: 
  1. Reazione passiva: aspetto che la natura faccia il suo corso e mi rassegno
  2. Reazione umoristica: cerco di trarre vantaggio dalla maschera che indosso evidenziandone alcuni aspetti (è in pratica quello che accade nel Fu Mattia Pascal)
  3. Reazione drammatica: non mi rassegno e cerco di strapparmi la maschera, tuttavia non ci riuscirò mai per cui o divento matto o mi suicido (Uno, nessuno e centomila)

Lo so, lo so, in realtà nessuna di queste è una via d’uscita ma Pirandello appena gli toccavano le maschere si incazzava come Kenshiro a una riunione di condomino.

«Insomma, dobbiamo chiudere pure quest’anno scolastico col magone?» si domandano giustamente gli studenti di terza media e quinto superiore. Non proprio.
Le commedie di Pirandello sono piene di un umorismo vivace, il problema non sta tanto nel lessico di inizio Novecento, quanto nel trovare biglietti per il teatro a prezzi accessibili a studenti di scuole medie e superiori (e ai loro insegnanti precari).

Insomma Pirandello va letto e studiato perché più di altri è riuscito a prevedere l’evoluzione della società fino ai giorni nostri, fatta di profili Facebook falsi e fotografie a ogni singola pietanza per far vedere agli altri che ci stiamo divertendo, solo che contemporaneamente non riusciamo a godere veramente del momento. Le maschere di Pirandello sono ancora vive e vegete e le indossiamo ogni giorni senza saperlo.

E poi, oh, le sue opere vengono rappresentate ancora oggi in tutti i teatri del mondo. E non sono nemmeno nate da un’idea di Stefano Accorsi.


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